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SABATO 18 APRILE E QUELLA CAVALCATA INTERROTTA SUL PIÙ BELLO

di ANDREA ROSSI

CHIARAVALLE Se la nostra esistenza non fosse stata lacerata dalla tragica irruzione dell’assurdo oggi, sabato 18 aprile (considerato che l’ultima giornata si sarebbe giocata in contemporaneità di giorno e orario), sarebbe finita. Due mesi fa, o giù di lì, la mente era già a oggi e già s’immaginava la festa, anche se sobria, perché in fondo ci saremmo ripresi ciò che ci apparteneva.

Come se Bellocchi, quel pomeriggio da tregenda, quell’acqua e quel freddo entrati nella schiena e fin nelle viscere, quel singulto di profonda amarezza dopo l’illusione fossero magicamente resettati. Una pagina triste, ma oggi, almeno oggi, l’avremmo dimenticata.

L’apoteosi infranta

Questo la nostra mente fantasticava. Il 18 aprile sarebbe stata una data speciale, il 22 febbraio solamente una di quelle da consegnare all’oblio, archiviata come un qualsiasi altro giorno, ma non come “quel” giorno.
Invece fu in quel giorno che calò il sipario sulla nostra stagione sportiva, anche se non lo sapevamo, né mai lo avremmo immaginato. Se, come scrive Donato Andreucci nel romanzo “Nel blue”, non esiste la felicità, ma esistono momenti felici, quel 22 febbraio rappresentò per tutti noi un momento felice.

L’esultanza dei giocatori della Biagio al termine dell’ultima gara prima dell’interruzione, datata 22 febbraio e vinta a Castelfidardo contro la Vigor

L’ultima vittoria
Vigor Castelfidardo-Biagio Nazzaro: l’agonismo in campo, il pallido “meriggiare” degli spalti, la tensione che si coagula… E la gente, che in realtà riempiva appena per metà le gradinate del vecchio “Gabbanelli”, ma che di fronte alla rarefazione di oggi ci sembra così tanta, persin troppa… Come rimpiangiamo quella massa, quel contatto! Quanto vorremmo essere nuovamente lì, inghiottiti dalla folla, in quell’attimo che vorremmo si prolungasse in un infinito presente!
E poi il dopo-partita: la squadra che festeggia con i tifosi sotto lo spicchio di settore loro riservato, il sindaco Damiano Costantini che scende negli spogliatoi per congratularsi per la vittoria, le dichiarazioni di un deluso ma gentilissimo Luca Manisera, quelle di un compassato Giammarco Malavenda, che invita tutti alla prudenza e intanto già pensa al Cantiano, il prossimo avversario…
E qui ci arrestiamo, nel fermo immagine di quella festa che non avrebbe avuto più un seguito, il cui ricordo si srotola sotto i nostri occhi con il motivo di una vecchia canzone dell’Èquipe 84. “È finita così”, mugghiava Maurizio Vandelli nelle note di quel rock psichedelico. Perché fu lì, fu quel giorno che si scrisse la parola fine. Pensavamo che l’interruzione sarebbe stata breve, poi che sarebbe stata un po’ più lunga, ma che comunque si sarebbe ripreso a giocare, ma quando fu chiaro che l’emergenza sanitaria era ormai fuori controllo e che, di fronte all’incremento esponenziale di contagi e vittime il primato in Promozione era men che niente, ci fu chiaro che si sarebbe messa una pietra tombale sulla stagione. “Cominciava così”, con l’imprevista sconfitta interna contro il Barbara. “È finita così”, con il trionfo di Castelfidardo e il primato consolidato e sufficientemente protetto da 6 punti.

L’ultima apparizione al Comunale, datata 16 febbraio e terminata 2-2 contro il Valfoglia

L’incertezza sul futuro

In mezzo, tutto ciò che non ha più alcun valore, nemmeno per le statistiche, se ci sarà annullamento totale.
La Figc Marche attende chissà cosa per mettere i lucchetti alla stagione. Aspetta segnali da Roma, che non arrivano, e quest’attesa è tanto beffarda, quanto ridicola. Riprenderemo a giocare, certo, ma non sappiamo né come, né quando. Così come non sappiamo che ne sarà della stagione 2020-21, dove saremo (Promozione, Eccellenza?) e se ci saremo. Non lo sappiamo, né ci importa. La tragedia che è ancora in atto ha spento ben presto ogni velleità sportiva: c’è altro a cui pensare, altro da progettare, altro da decidere. Non abbiamo idea di ciò che sarà, ma sappiamo che per tutti sarà dura, molto dura. Per quel che serve, riavvolgiamo il filo e ritorniamo a quel sabato 22 febbraio, facendo finta che l’esultanza finale dei nostri giocatori sia stata quella che attendevamo sabato 18 aprile. Cosa ci resta? Il sorriso di quell’attimo, la semplice inezia di un momento felice. Perché di felicità proprio non ce n’è, almeno in questi tempi.

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